Epoche remote

Introduzione

René Willien nel suo volume Saint-Vincent scriveva, oltre quarant’anni fa, a proposito del territorio del nostro Comune : « Les grands placards publicitaires ont l’habitude de présenter Saint-Vincent et sa conque avec l’appellatif de Riviera delle Alpi. Il n’est pas exagéré d’affirmer qu’autrefois cette Commune – ou pour le moins sa conque – méritait cette attribution. Un lac devait s’étendre jusqu’à la gorge de Montjovet, où la route était barrée par d'énormes parois rocheuses : l’eau en effleurait la partie supérieure et descendait dans la basse vallée en cascades précipitées, tandis que dans le défilé de Pontey le lac était alimenté par les eaux de la Doire et du Marmore.»
Quindi, citando André Ferré, così continua : ( « … un lac qui s’étendait au centre de la Vallée, entre Châtillon, Saint-Vincent et Montjovet d’une part, et Ussel de l’autre… La chaîne du Zerbion abritait la localité des vents froids du nord et la présence de l’eau rendait le climat extrêmement doux…Aussi toute une famille de plantes exotiques des pays méditerranéens avait poussé sur ces bords enchanteurs… »).
E, così conclude : « Lentement, l’eau creusa la roche du côté où le soleil se lève et le lac devint moins profond. Les bois et les prés envahirent bien vite la conque bourbeuse ; puis, les paysant prirent possession des nouvelles terres. »
Oggi sappiamo con certezza che la leggenda, tramandata dagli abitanti del luogo e raccolta da André Ferré, a proposito di un grande lago che ricopriva il bacino della Dora a monte di Champérioux è realmente esistito.
Ricerche scientifiche recenti lo confermano.
Un vastissimo lago si estendeva, alla fine dell’ultimo periodo glaciale, tra 12.000 e 10.000 anni fa, da Champérioux fino a Sarre. Il livello delle acque superava quota 510 sul livello del mare, e queste lambivano quasi il territorio ove, millenni più tardi, sorse il nostro borgo.
Un’enorme frana, staccatasi dal monte Avi, probabilmente al momento stesso del definitivo scioglimento dei ghiacciai, aveva arrestato il corso delle acque che scendevano abbondanti da ogni dove, creando a monte della stretta gola rocciosa di Montjovet un poderoso sbarramento.
A titolo di curiosità segnaliamo anche che un analogo sbarramento si era creato tra Fénis e Nus, ove, su un probabile anfiteatro morenico che già sbarrava il corso della Dora e dei torrenti laterali, si aggiunse un’altra frana di grandi dimensioni, che fece raggiungere al lago a monte una quota di una quindicina di metri superiore alla precedente.
Tra 10.000 e 9.000 anni fa, gli sbarramenti cedettero sotto il peso delle acque ed i nostri laghi si prosciugarono lentamente. La Dora Baltea prese a scorrere sul fondovalle scavandosi un letto tra i detriti alluvionali che nel frattempo avevano riempito il profondo solco scavato dai ghiacciai.

La prima colonizzazione del suolo

Dalla scomparsa del grande lago, alcuni lunghi millenni dovettero ancora trascorrere, prima che l’uomo facesse la sua comparsa tra le nostre montagne.
Nel nostro Comune non sono ancora state ritrovate tracce del passaggio di cacciatori mesolitici, né di insediamenti permanenti dei primi agricoltori e allevatori del Neolitico.
Possiamo comunque immaginare che Saint-Vincent non costituisce per nulla una eccezione nei confronti del rimanente territorio regionale. Esposta in modo privilegiato al sole, riparata dai gelidi venti del nord dallo Zerbion, come faceva notare il Ferré, ricca di risorse naturali agro-pastorali, collegata da facili vie naturali, quali il Colle di Joux, con la prosperosa valle di Challant-Ayas, adiacente alle ricche zone minerarie di Emarèse e Brusson, la nostra conca ha sicuramente conosciuto molto presto un’antropizzazione importante.
Le più antiche testimonianze oggi note risalgono comunque ad una fase Bronzo finale – prima epoca del Ferro, vale a dire ai primi secoli del primo millennio a.C.
Dagli scavi condotti da Rosanna Mollo nell’area della chiesa parrocchiale di San Vincenzo, sotto l’insediamento romano, sono venuti alla luce resti di strutture abitative con murature a secco che hanno restituito « olle ovoidi e vasi situliformi cilindrici di grandi dimensioni a fondo piano o a tacco, in terracotta…, di colore bruno-grigiastro e decorata a cordoni rilevati a sezione triangolare ».
Ad epoca protostorica indeterminata sono pure ascritti un non meglio specificato insediamento in località Cillian-Feilley, zona fra l’altro ricca di numerose rocce a coppelle, e tre tombe a cista, in lastroni grezzi, rinvenute e distrutte, anni addietro, in occasione dell’ampliamento della Casa della Divina Provvidenza. Queste ultime tombe, per quel che ci è dato di sapere, potrebbero però essere tombe a cista ben più antiche, del tipo Chamblandes, simili a quelle di Vollein, e quindi risalire al Neolitico.
Ad un’epoca successiva, definita gallica, di poco precedente o contemporanea ai primi insediamenti romani, risale una tomba, il cui cadavere giaceva in nuda terra, nota come tomba di Champ-des-Vignes, in realtà rinvenuta nel 1913 all’estremità est del Plan-des-Fourches. Alle caviglie dell’inumato, vi erano due armille massicce in bronzo, di tipo vallese, riccamente decorate. I due oggetti, a sezione trapezoidale, leggermente ovali, profondamente incise da motivi oculés e a chevrons, pesavano 720 grammi caduno. Uno di questi bracciali fu lasciato al proprietario del terreno, l’altro deposto al Museo archeologico di Torino.

L’epoca romana

La presenza dei romani è certamente quella meglio documentata nel nostro territorio.
I monumentali resti del ponte romano sul torrente Cillian, sono un esempio della maestria dei costruttori romani nel realizzare opere pubbliche. Questo ponte, ancora intatto nei primi decenni del 1800, fu studiato dal noto archeologo Carlo Promis che ne rilevò accuratamente l’intera struttura, dandone anche un’accurata descrizione.
Crollò purtroppo in parte nel 1839, sabato 11 maggio secondo il priore Gal, in occasione del terremoto dell' 8 giugno secondo il Promis. Oggi purtroppo rimangono solo, anche se ben conservati lo spallone di sinistra ed un tratto della sostruzione della via di accesso, lungo una ventina di metri.
La strada romana, da questo punto, valicato il torrente Cillian, seguiva grosso modo il tracciato della ex strada statale 26, passando a nord della chiesa parrocchiale, percorrendo la centralissima via Chanoux per poi dirigersi, costeggiando a sud il parco dell’Hôtel Billia, verso la cappella di San Valentino, a monte della quale, già in territorio di Châtillon, sono ancora visibili alcuni metri di sostruzioni.
Lungo questo tracciato vennero alla luce, in epoche diverse, alcune tombe romane.
La prima, rinvenuta nel 1831, a poca distanza dal ponte romano, conteneva due vasi in ceramica, un terzo vaso più piccolo, en terre fine, che conteneva ossa umane bruciate, ed un’ampolla in vetro. Dalla descrizione del canonico Nourissat, è chiaro che si tratta di una tomba a incinerazione.
Sempre lungo la via, ma nella parte opposta rispetto all’attuale abitato di Saint-Vincent, ove ora sorge l’Hôtel Billia, nel 1907, in occasione dello scavo delle fondazioni dello stesso, vennero alla luce alcune tombe di epoca romana contenenti « urne, balsamari, suppellettili ». Nello stesso luogo furono pure raccolte un’ampollina fittile rivestita di colore scuro, già conservata nella raccolta privata Rean e poi depositata nel 1932 presso il Museo archeologico di Aosta. Il noto archeologo Piero Barocelli accenna anche ad una lucerna fittile da lui vista, sempre nella raccolta Rean, rinvenuta nel 1907 nello stesso sito.
E’ pure segnalata, sin dal 1889, una tomba tardoromana o barbarica, rinvenuta in località Cinea ( bisogna probabilmente leggere Cisseya, villaggetto oggi distrutto, già situato ove sorge il Casino de la Vallée, sede di un mulino e di una cappella dedicata a san Rocco e a san Giocondo) durante lavori di scavo per la costruzione di una casa.
Composta da lastroni grezzi disposti a coltello e ricoperta di lastre fittili poste a due spioventi, conteneva uno scheletro. Un secondo individuo era sepolto all’esterno, a fianco della tomba. All’interno era pure depositato un vaso fittile, a fianco dell’inumato; un secondo vaso era posto sotto il capo dello stesso. Sul luogo furono pure raccolti una moneta non meglio descritta, due orecchini ed un anello d’oro.
Notevoli strutture murarie, sempre di epoca romana, probabili testimonianze di una ricca villa rustica o di una importante mansio lungo la via, con annesso un impianto termale, vennero alla luce durante gli scavi archeologici iniziati nel 1972 all’interno e nelle immediate vicinanze della chiesa parrocchiale.
L’importante edificio, ortogonale rispetto all’asse della via romana, giaceva, come già detto in precedenza, su costruzioni risalenti alla fine dell’Età del Bronzo o meglio agli inizi di quella del Ferro.
Le strutture più antiche di questo edificio, stando ai rinvenimenti ceramici, risalirebbero alla fine del I° secolo a. C. o agli inizi del II° d. C., proprio al momento della prima romanizzazione della valle e della costruzione della strada.
Su queste sorse tra il II° ed il III° secolo un complesso termale di una certa importanza, al quale si affiancò alla fine del IV° secolo d. C. un edificio absidato, il cui utilizzo non è ancora chiarito del tutto, forse utilizzato anche come primo luogo di culto cristiano. La distruzione del complesso termale avvenne con ogni probabilità agli inizi del V° secolo.
L’uso funerario del luogo, in epoca paleocristiana, è documentato da alcune tombe sovrapposte ai resti dell’edificio termale. Altre tombe, risalenti al VII° - VIII° secolo, che precedono l’impianto della nuova chiesa romanica nel secolo XI° XII, attestano la continuità di questo culto in questo luogo privilegiato.


Damien DAUDRY