La via delle gallie

La costruzione della cosiddetta Via delle Gallie che da Eporedia (Ivrea) saliva verso Augusta Praetoria (Aosta) per raggiungere i valichi dell’Alpis Graia (Piccolo San Bernardo) e dell’Alpis Poenina (Gran San Bernardo) realizzò, nella prima età imperiale, il grandioso progetto di collegare, efficacemente e durevolmente, Roma e le regioni mediterranee con le terre occidentali e atlantiche dell’Europa.La strada, tracciata sulle estreme pendici montuose per evitare le esondazioni e gli impaludamenti delle acque della Dora nella stretta piana del fondovalle, si adatta per lunghi tratti all’aspra conformazione del territorio, procedendo per segmenti rettilinei, congiunti ad angolo, e modeste pendenze. Dove, invece, gli ostacoli opposti dalla natura al passaggio della strada erano insormontabili l’aspetto dei luoghi appare drasticamente modificato con interventi arditi e ingegnosi, quali il taglio di speroni rocciosi, l’innalzamento di sostruzioni su pendii, la realizzazione di viadotti e di ponti che superavano avvallamenti e corsi d’acqua.Tali opere offrono, ancora oggi, una testimonianza tanto immediata quanto eloquente delle capacità progettuali e della perizia tecnica raggiunte dalla cultura romana nel campo dell’ingegneria stradale.

Il ponte di Saint-Vincent

Il ponte consentiva alla Via delle Gallie di attraversare il torrente Cillian, affluente della Dora Baltea, in un punto dove il suo alveo si restringe e rinserra le acque tra alte sponde rocciose.
Il ponte constava originariamente di tre parti per una lunghezza complessiva di oltre 49 metri. La prima parte era costituita da un’unica, ampia arcata a tutto sesto, dotata di una luce di 9,71 m e sostenuta da possenti spalle che poggiavano saldamente sulla roccia. Le due parti laterali e simmetriche si saldavano al tracciato della strada formando un angolo ottuso e presentavano, ma solo sulla fronte a valle, un’arcatella cieca. Sempre sulla fronte verso valle, l’arcata del ponte e le arcatelle minori erano inquadrate da robusti contrafforti.
A rendere più salde e coerenti le murature e nel contempo a evidenziare le parti staticamente più significative della struttura del ponte contribuiva l’impiego dei blocchi lapidei che formano gli spigoli delle spalle, disegnano la curva degli archi e costituiscono i contrafforti. I blocchi, in pietra locale, sono accuratamente tagliati, rifiniti e connessi. I muri superiori, come ancora si può osservare nella porzione conservata tra l’arcata e il vicino contrafforte, alternano nel paramento lastre di pietra a fasce di schegge lapidee di prevalente colore verde ravvivando, in modo semplice ma efficace, la fronte del monumento. Il nucleo delle murature è realizzato nella cosiddetta opera a sacco, ovvero con schegge di pietra legate da una malta di calce assai tenace.
La parte superiore del ponte comprendeva originariamente la sede stradale, larga 4,64 m, protetta da alti parapetti che schermavano i venti e che, verso valle, si aprivano sulla vista suggestiva dei dirupi e delle acque sottostanti con piccole finestre rettangolari, collocate sopra l’arcata e le arcatelle minori.
L’8 giugno del 1839, probabilmente in seguito ad un terremoto che provocò il cedimento dello spuntone roccioso sul quale era fondata la spalla destra del ponte, l’arcata centrale crollò. Danni ulteriori, causati da cospicue infiltrazioni di acqua, provocarono nel 1907 il collasso di quanto ancora rimaneva della struttura sulla riva destra del torrente.
Nel 1937 il ponte fu oggetto di un esteso restauro che comportò il consolidamento delle strutture superstiti e l’integrazione di alcune lacune nelle murature.