Moron

Un santo martire, una chiesa, sette villaggi e una sola comunità
Per molte persone il nome Moron è semplicemente associato alla plurisecolare chiesa posta sotto la protezione di San Maurizio esistente in quella località e questo è sicuramente esatto. Questa chiesa, che sembrerebbe già esistere nel 1112, ebbe certamente un ruolo molto importante nell’intero comprensorio tanto da essere additata come tra i più importanti luoghi di culto esistenti a sud del trafficatissimo colle del Teodulo, pur non essendo mai stata sede di parrocchia ma solo filleule de celle de Saint-Vincent; dagli archivi risulta che frequentemente era sottoposta a Visita Pastorale da parte del vescovo o dai suoi collaboratori. Ciò non ostante molte cose concorrono a confermare questa chiesa come importante centro religioso e faro della cristianità e questo anche grazie alla presenza di un attiguo cimitero che alcuni studiosi vorrebbero utilizzato anche per i defunti di lingua e cultura tedesca, provenienti dalle vicine valli di Ayas e Gressoney. Sicuramente questa chiesa ha una storia lunghissima costellata di fatti, di persone, di un ricco arredo e di funzioni religiose proprie di una chiesa madre. L’alto numero di persone residenti a Moron e gravitanti in quel sacro tempio (e riunite all’interno di Congregazioni religiose che sono già menzionate nei primi decenni del 1300) ha fatto sì che nel corso dei secoli questo tempio fosse arricchito da un vero e proprio tesoro d’arte costituito da croci professionali, pissidi, statue, quadri, mobili nonché da rendite economiche di tutto rispetto grazie a laute donazioni effettuate in fase testamentaria da alcuni esponenti della nobile locale famiglia dei Challant e grazie anche a numerosissime agiate e devote persone di quei villaggi (dei cui gesti si ha menzione fin dal XIV° secolo). Nel corso del XIX° secolo ben due parroci avanzano l’interessante ipotesi secondo cui questo edificio, pesantemente restaurato e rimaneggiato nei primi anni del seicento e in epoche successive, fosse in origine la prima chiesa parrocchiale di Saint-Vincent. Verso il Mille la chiesa del borgo, retta dai benedettini, avrebbe assunto una maggiore importanza e quindi la titolarità di Moron sarebbe stata ceduta a favore della chiesa di San Vincenzo. Il santo protettore, Maurizio, non fu certamente scelto a caso se si considera che tale figura è già patrona dello stato sabaudo al tempo di Amedeo II, († 1080) Tutt’oggi, sui muri esterni, anche se purtroppo gravemente deteriorati dal tempo, si notano alcuni stemmi sabaudi e questo dettaglio confermerebbe che tale chiesa è stata per moltissimo tempo “protetta” anche da quella nobile famiglia. Il romanico edificio si presenta molto compatto e raccolto e anche il campanile, alto una quindicina di metri e già dotato di orologio nella seconda metà del settecento, si caratterizza per la ricercata fattura e posa del pietrame, in particolare nelle angolature. Precedentemente si era detto dei suoi ricchi arredi e tra questi si ritiene interessante citare una quattrocentesca e spettacolare Madonna in trono con Bambino, un bacile in rame utilizzato per l’offerta del pane (di fattura tedesca e risalente anch’esso al quattrocento), una statua di San Maurizio di scuola germanica alta un metro e mezzo circa, risalente al cinquecento e infine un reliquiario in argento di piccole dimensioni impreziosito da colonnine e databile al XVII° secolo. Tutti questi oggetti, e altri ancora, sono oggi visibili nel Museo d’Arte Sacra allestito all’interno della chiesa del borgo di Saint-Vincent dove sono stati riposti al sicuro per evitare i soliti e purtroppo frequenti furti sacrileghi. Concludendo queste poche note sulla chiesa di San Maurizio si ritiene necessario fare un piccolo inserto a proposito dei riti e degli aspetti concernenti la fede dei residenti di Moron; risulta dagli Archivi Parrocchiali che in questa chiesa erano celebrate tantissime funzioni religiose e che mai i parroci mancarono ai loro impegni, anche se certamente a tali appuntamenti i fedeli dovevano corrispondere con benefici economici. I residenti, nel corso dei secoli, per ragioni molto diverse tra loro, non sempre ottemperarono ai loro obblighi consistenti in donazioni e legati di natura economica tanto che già nel Seicento, e poi ancora nei secoli successivi, vi furono forti attriti tra loro e i parroci del borgo. L’importanza del territorio di Moron è rimarcata anche all’interno di alcune pergamene conservate nell’archivio parrocchiale dalle quali si ricavano sia la devozione delle persone, sia l’interesse economico dell’ente religioso su determinate proprietà; ma l’attenzione per le rendite dei prati e dei campi di quella località è sottolineata anche dal fatto che fin dall’alto medioevo l’economicamente ricca Collegiata di Saint-Gilles di Verrès possedeva alcuni ampi fondi che periodicamente infeudava, attraverso Reconnaissances, e dietro lauti compensi. A Saint-Vincent, questa nobile Istituzione religiosa aveva per circa cinque secoli mantenuto la proprietà e la gestione dell’Ospitale-ospizio (situato nel borgo lungo l’asse valdostano della Via Francigena) garantendosi sul territorio, con acquisti e donazioni, campi nei pressi del villaggio di Lenty e vigneti in frazione Torrent-Sec. Fino al momento attuale non si era a conoscenza che anche a Moron vi fossero beni di quella Collegiata che in seguito, e per vicende a noi sconosciute, cambiarono proprietario; sicuramente verso la metà del seicento i beni erano già posseduti dai nobili fratelli Mistralis coseigneurs de Brissogne et bourgeois de Saint-Vincent. Risulta da alcuni documenti conservati da privati, che i citati Mistralis nel gennaio del 1659 infeudano un grande prato detto Champ Saint Egide, soit pré de Saint Gilles a tali Jean Gorris, Pierre e Maurix Damay e Gabriel Gallernaz abitanti a Moron. L’antica proprietà era passata di mano ma il richiamo al nome del primitivo possessore del fondo era rimasto invariato e così si manterrà ancora fino all’estinzione dei diritti feudali (1748), per scomparire quasi del tutto alla fine dell’Ottocento. Prima di entrare nel dettaglio e descrivere le bellezze architettoniche ed ambientali di Moron è necessario ricordare che la località che porta questo nome, situata a circa 800 m. slm., è in realtà costituita da sette nuclei frazionali ben distinti tra loro; per questa ragione il testo che segue potrà essere anche scomposto in altrettanti parti che comunque avranno degli inevitabili punti in comune. L’unico sito che ha come toponimo Moron (Moronum, Morono, così è scritto nei sec. XV° e XVI°), è quello su cui si erge la millenaria e maestosa chiesa di San Maurizio; secondo una tesi sostenuta dal compianto parroco di Saint-Vincent, don A. Hosquet, il nome del toponimo Mont Rond, cioè monte (o collina) rotonda o arrotondata deriverebbe dalla forma tondeggiante del pianoro su cui si erge il sacro edificio. Estremamente interessante anche lo studio di P.-L. Rousset concernente la radice Mor (contenuto nel volume Ipotesi sulle radici preindoeuropee dei toponimi alpini, Quaderni di cultura alpina, Priuli & Verlucca, 1991); lo studioso afferma che la voce Mor è di indubbia origine preindoeuropea mediterranea e ricorda che tale parola è molto diffusa nella toponomastica e nelle lingue parlate in un comprensorio vastissimo compreso tra l’India e l’estremità della penisola iberica. Tutte le parole in cui è presente la radice Mor hanno comunque forti riferimenti alla pietra: roccia di grandi dimensioni; elevazione rocciosa; pietrame raccolto in mucchi (le note murgère presenti anche sul nostro territorio); lo stesso nome della regione Maurienne nella vicina Savoia, indica zona di montagna ed è derivata, e strettamente collegata, all’arcaica radice Mor. La storia dei sette nuclei abitativi di Moron è strettamente correlata al ruolo che questi villaggi ebbero all’interno della viabilità intervalliva dopo la caduta dell’Impero romano e al conseguente abbandono di strade e ponti nonché ai punti di accoglienza e ristoro. La strada romana che ricalcava l’asse centrale della Valle d’Aosta perse poco alla volta il suo interesse a favore di nuovi percorsi, in particolare con quello che metteva in comunicazione il Piemonte con le regioni transalpine attraverso numerosi passaggi, definiti “minori”, tra cui va senz’altro annoverato anche il Colle di Joux. Moron nel corso dei secoli sembra avere una posizione molto strategica all’interno di questo sistema viario sul quale transitavano mercanti, bestiame e merci di ogni genere e tipo. Certamente questi sette villaggi non hanno mai avuto in passato le sembianze di un unico centro di media montagna malgrado siano stati vicinissimi tra loro e abbiano affinato nel corso dei secoli un perfetto sistema per utilizzare al meglio le proprie possibilità, servendosi di tutte le potenzialità del caso e cercando, forse, in ogni modo di essere autosufficienti. Ma l’importanza di Moron non è solamente sottolineata dall’essere all’interno di questo vitalissimo sistema viario; questi sette villaggi, aventi ognuno una propria identità, sono stati per un millennio circa, la “corona”, quasi la guardia, dell’importantissima chiesa che è considerata tra le più antiche della diocesi di Aosta. Quindi i sette villaggi assumono il ruolo di centro primario d’incontro, di cultura, di fede e cosa molto importante, anche luogo di sepoltura; inoltre, queste frazioni edificate in posizione privilegiata, mantennero per secoli anche l’importante funzione di “porta” della collina di Saint-Vincent. E attraverso questa simbolica porta passavano mercanti e mercanzie che dalla pianura padana si dirigevano verso i mercati francesi e svizzeri; sempre da questa porta, ma dalla sovrastante collina, scendevano, e in grande quantità, anche le bestie da soma cariche di sacchi di pregiati cereali prodotti sul nostro territorio montano e dirette soprattutto al mercato di Aosta. Consistenti tracce e riferimenti di questi ricchi commerci (in particolare tra la seconda metà del XV° secolo e la fine del XVII° secolo) si hanno all’interno di alcuni documenti conservati negli archivi. Non è quindi da escludere la fondata ipotesi che a Moron esistesse anche un deposito di granaglie e forse anche una dogana per il prelievo delle gabelle. La necessità di un luogo in cui convogliare e momentaneamente depositare la quantità di prodotto eccedente le necessità della comunità stanziata sulla collina è concreta e per nulla campata in aria. E’ naturale che a tutto questo facesse da contorno un sistema organizzato volto a trarre vantaggio dai traffici commerciali e dall’intera economia del territorio; è quindi altresì probabile che in zona esistessero dimore per ospitare eventuali funzionari ducali o gli addetti al controllo delle imposizioni fiscali. Da ciò che resta dell’antica architettura abitativa di Moron si accertano ancora oggi edifici ricchi di inserti architettonici e particolarmente curati nelle strutture e questo farebbe ipotizzare che i committenti fossero persone dotate di buone disponibilità finanziarie e necessitanti di dimore di prestigio. Su tutte, a Moron-Gorris, si erge ancora maestosa e pregevole, anche se purtroppo gravemente abbandonata e in sicuro pericolo di sopravvivenza, un’abitazione tardo cinquecentesca nota con il nome di Maison Communale o Les Sales. L’edificio, dai grandi volumi, è molto articolato ed è costituito da due edifici affiancati e presenta numerose finestre in pietra lavorata, datata e con il motivo dell’arco carenato detto anche della goccia rovesciata. Questi modelli architettonici, utilizzati inizialmente nei castelli, nelle chiese e nelle case nobiliari sono poi diventate di dominio comune e da secoli sono presenti un po’ dappertutto. Questi particolari architettonici decorativi (originari della Francia) si ritrovano in tutte le località che ebbero sul loro territorio importanti assi viari che, collegando le varie regioni transalpine, consentivano anche importanti scambi culturali. Nel retro della citata casa (parzialmente protetto da un balcone in legno e a lato dello stipite di una porta con data 1648 e monogramma di Cristo), si ammira un bellissimo e pregevole affresco che mostra una Vergine con Bambino e due santi vescovi; sulla facciata dell’edificio, a mezzogiorno, ad altezza d’uomo si può ancora apprezzare all’interno di una lunetta con cornice bianca gessata, un secondo affresco che mostra San Maurizio; il dipinto è purtroppo gravemente, e forse irrimediabilmente perso grazie all’azione del tempo e alla devastante iniziativa di coloro che con i graffiti hanno voluto segnare la loro presenza in quella località. Curiosa, enigmatica e molto antica, è una piccola testina apotropaica ricavata in una grande pietra angolare dell’edificio a lato strada e ad altezza d’uomo. Circa l’appellativo di Maison Communale siamo portati a ritenere che tale denominazione derivi dal fatto che verosimilmente al suo interno abitasse, e operasse, un funzionario del primitivo sistema amministrativo, con probabili funzioni di “raccordo” tra gli amministratori del Ducato, quelli del mandamento di Montjovet e con la popolazione residente sulla collina; si racconta che nei primi decenni del novecento un dipendente del Comune salisse periodicamente a Moron e, in quella casa, fosse a disposizione dei residenti per vidimare documenti o per fornire altri servizi richiesti dalla popolazione. Pare quindi inequivocabilmente possibile ipotizzare Moron come centro giurisdizionale minore e sede periferica dell’amministrazione. E’ però da rimarcare che Moron e tutte le altre frazioni non ebbero mai totale indipendenza amministrativa dal borgo di Saint-Vincent così com’è risaputo che non compare mai alcun elemento di soggezione di Moron, e di altri villaggi della montagne, al nostro antico borgo. E’ altresì notorio che per molti secoli, e fino al 1860 circa, nel nostro paese vi erano due sindaci: di questi, uno rappresentava la popolazione del borgo e l’altro quella della collina; è assai probabile che sede del “municipio” di quel territorio fosse proprio l’edificio di cui si parla che, per la sua probabile destinazione d’uso, ha conservato nel tempo l’appellativo di Maison Communale. Per ciò che concerne il secondo appellativo con cui è identificato questo stabile, dobbiamo ricordare che Le Sale era un nome dato solitamente agli edifici al cui interno era ubicata una sede di Tribunale o comunque un luogo in cui si amministrava la giustizia per cui si potrebbe anche ipotizzare che tale costruzione avesse doppi usi e finalità; purtroppo si deve rimarcare come al momento attuale non siano stati trovati documenti precisi su quanto appena affermato e in tal senso non sembrano fornire precisazioni neppure i Verbali dei Consigli Comunali; questi documenti (relativamente recenti e tutti relativi all’attività amministrativa del borgo) si limitano a confermare l’esistenza di due Consigli Comunali e di due sindaci anche se questi ultimi risultano essere presenti in contemporanea solo nei casi in cui all’Ordine del Giorno sono iscritti punti aventi problematiche comuni al borgo e alla collina. Totalmente assenti sono invece i documenti relativi alla sola Amministrazione di Moron che sembrano essere completamente inesistenti o persi; a questo proposito è però da tenere presente che prima della Rivoluzione Francese le assise dei Consigli Comunali si svolgevano solitamente nell’abitazione del sindaco e che le carte erano conservate di norma nell’abitazione del primo cittadino o in alternativa all’interno delle chiese. Ciò che comunque appare sempre più chiaro al termine di questa lunga serie di ipotesi è il fatto che nei secoli passati questo insieme di villaggi, oggi riuniti sotto il generico nome Moron, ha avuto una storia molto importante e che solo con l’attento studio dei documenti si riuscirà forse a dipanare dalle nebbie dei secoli. A Moron si ha menzione della presenza di una scuola fin dal lontano XVIII secolo; nel 1750 un agiato residente, Jacques-Joseph Favre, lasciò alla (costruenda?) scuola un grosso importo di denaro che nelle intenzioni del donante avrebbe dovuto servire per pagare l’insegnante. La scuola sarebbe però diventata pienamente operativa solo nel 1783 e per moltissimo tempo sarebbero sempre stati dei sacerdoti a garantire l’insegnamento ai piccoli di Moron e di altri villaggi limitrofi. Se di scuola ne esisteva soltanto una, diversa è la situazione per altre strutture comunitarie; tutti i sette nuclei erano indipendenti gli uni dagli altri per cui in ognuno di essi si ha menzione della presenza di un forno per la panificazione, di un torchio per le vinacce (all’epoca, malgrado la quota, i vigneti erano abbastanza estesi su quel comprensorio), e di numerosi mulini da grano (oltre otto!) tutti naturalmente localizzati lungo i canali d’irrigazione e in prossimità delle loro naturali balze per sfruttare al meglio la forza dell’acqua. Il penultimo mulino funzionante a Moron fu quello gestito dalla famiglia Page in località Foassire; risulta che in questo mulino (dotato all’esterno di grande ruota e meravigliosamente immerso in un maestoso bosco di giganteschi castagni), si macinavano circa 180 quintali di cereali a stagione fin verso il 1950, quando i gestori decisero per il fermo totale dell’attività. L’ultimo mulino operativo a Moron fu quello esistente in località Gorris; era detto lo gran molen de Brunod e fu gestito, per generazioni, dall’omonima famiglia che garantì ancora il servizio fino al 1960 circa. L’abbandono del territorio, e la quasi totale assenza di superfici ancora coltivate a cereali, costrinse il mugnaio Brunod a fermare l’attività e a riconsegnare la licenza; per la macinatura, da quel momento in poi, i pochi produttori di granaglie si sarebbero dovuti recare nel borgo, con tutte le difficoltà del caso. La guerra da poco conclusa, un’economia agricola ormai totalmente collassata, una mutata situazione sociale e nuove possibilità di occupazione, furono squillanti campanelli che indicarono come un’epoca durata molti secoli, si stava definitivamente concludendo e chiudendo. La miseria e la fame che con determinazione si erano presentate già in altre occasioni, tornarono purtroppo a bussare con maggior vigore alle porte dei Sabins che non potendo fare altro, e con la speranza di una vita migliore, lasciarono in gran numero case, campi, pascoli e, più in generale, l’intero territorio per cercare altrove (in particolare nei paesi del fondovalle, ad Aosta o addirittura all’estero) tutte quelle cose che il nostro territorio non riusciva più a dare, cioè la fiducia nel futuro (che altrove appariva garantita da redditi più consistenti e che la nostra campagna non sarebbe più stata in grado di assicurare). L’Oro dei Sabins, costituito dal raccolto ricavato dalle migliaia di campi di biondeggianti messi, garantito per secoli dallo scorrere fedele dell’acqua del Canale Courtaud, si era definitivamente trasformato in putrida poltiglia, incapace di dare certezze e sicurezze economiche alla popolazione. Ai nostri giorni è abbastanza difficile individuare gli antichi nuclei abitativi; le nuove costruzioni sorte nella seconda metà del novecento e i numerosi restauri attuati sulle costruzioni hanno purtroppo parzialmente cancellato molte delle antiche testimonianze. L’uso, a volte sfrontato, del cemento e di altri materiali discutibili in quel comprensorio ci stanno consegnando dei centri abitati in cui certamente vi sono dimore belle, ma queste paiono essere assolutamente fuori dal contesto in cui sono state edificate. I tantissimi granai e i patriarcali rascards realizzati con il sapiente uso del legno e della pietra, hanno in parte ceduto al tempo, all’incuria dell’uomo e al fuoco; oggi di quelle decine di testimonianze rimane molto poco e gli interventi di questi ultimi anni compiuti su queste secolari strutture (tendenti a recuperare questi volumi per fini abitativi) hanno ampiamente dimostrato che l’importanza della memoria storica non sempre travalica su tutto. E’ purtroppo un’architettura che scompare, per sempre! portandosi appresso quelle conoscenze che avevano i nostri progenitori: prime su tutte quelle concernenti il legname utilizzato (varietà di legno, periodo per il taglio degli alberi, lavorazioni, assemblaggi) e la pietra (sia essa da muratura che da copertura). La specificità dei nostri villaggi sta’ perdendosi in modo veloce e, purtroppo, senza ritorno ed è necessario che coloro che hanno il potere decisionale agiscano con determinazione per evitare ulteriori scempi al patrimonio architettonico e culturale presente sul territorio, così com’è importante che anche i tecnici siano formati con una mentalità più attenta e più rispettosa delle testimonianze secolari, anime della nostra cultura e delle nostre comunità. Nei villaggi che compongono Moron, e che si invita a visitare, si avrà modo di accertare come in quelle piccole frazioni l’uomo fosse attore primario del suo modo di vivere, di abitare, di ambire, di lavorare, di amare e di soffrire. Tutte le costruzioni raccontano il cammino secolare dell’uomo attraverso le sue conoscenze, necessità e ambizioni; ogni costruzione, sia essa privata o comunitaria, ci illustra il “sapere e la conoscenza” dei nostri progenitori.

I sette villaggi di Moron
Comba
: il toponimo (che trae la sua origine dalla situazione morfologica del territorio e dalla valletta su cui insistono le case) compare fin dalle più antiche carte concernenti il nostro paese e in numerose varianti tra le quali: Combaz, Gombaz, La Comba, La Combe e infine La Gombaz. Tutte queste differenze si collegano e si richiamano comunque fortemente alla caratterialità e alla tipicità del territorio del villaggio di Comba, che fu primitivamente edificato in un piccolo valloncello a lato di un grande pianoro quasi racchiuso in un anfiteatro naturale composto da prati, vigneti e campi contornati da un maestoso bosco di castagni che pare proteggere le antiche abitazioni (in parte già recuperate) e da alcuni granai totalmente in legno che senza attendere oltre, dovrebbero essere riportati all’antico splendore.
Charbonnier: ha un toponimo che senza dubbio richiama alla mente antiche e dimenticate specializzazioni che con il passare del tempo sono diventate cognome di famiglia. Nella versione latina (sec. XV° e XVI°) è scritto Charbonerii, mentre nelle successive versioni in francese si legge Charbonelles, Charboner, Charbonner e Charbonniers; vi è però da aggiungere che l’attuale dizione Charbonnier appare utilizzata sulle carte già da quasi due secoli. La sua posizione leggermente discosta dagli altri villaggi potrebbe indicare che in quel sito si fabbricava il carbone e che quindi tale attività artigianale (che produceva con abbondanza fumi e odori e che poteva inoltre costituire pericolo per le case a causa del fuoco dei carbonai) doveva essere localizzata in sito distante dalle abitazioni; verosimilmente, in data a noi sconosciuta, intorno ad un piccolo centro artigianale (forse costituito anche dall’abitazione del produttore del carbone) sorsero nuove costruzioni e altre famiglie si stanziarono in loco.
Gesard: il toponimo di questo centralissimo villaggio, molto citato sulle antiche carte, si mantiene quasi sempre inalterato nel corso dei secoli: è Insuardis nel 1393, Les Issuards nel 1599, Jssuards nel 1656, e poi ancora Les Gesards, Gezard e Des Gesard nel 1722. Curiosamente il toponimo di questa frazione non è diventato cognome; Gesard, grazie alle famiglie che per secoli hanno abitato queste case, sembra avere un’importanza particolare all’interno di quello che può essere definito il “sistema Moron”. Qui erano stanziate le famiglie più agiate ma anche quelle che più di altre sembravano determinate a fare delle scelte e ad ottenere dei risultati; ricordiamo che qui risiedevano alcuni dei “padri fondatori” del Canale Courtaud, i cui eredi dopo secoli mantengono ancora questi cognomi e naturalmente proprietà fondiarie e immobiliari. In questo villaggio, e all’appello, sembra mancare solo l’ormai estinta famiglia Gallernaz; stando al contenuto di alcune carte, che peraltro non possono illustrare appieno la “forza politica ed economica” di questa famiglia, si può verosimilmente ipotizzare che questo clan ha per alcuni secoli diretto “le danze” dell’economia di quel territorio. La sua forza derivava certamente dal possesso di centinaia di particelle coltivate a campo ma forse anche dal prestito di danaro (usanza purtroppo molto in voga nei secoli passati) attivato da alcuni suoi rappresentanti; in sostanza, in una sorta di circolo vizioso, la terra garantiva reddito e il reddito serviva ad acquisire terra. Alcuni oculati matrimoni fecero il resto e fino al 1830 (anno in cui decede l’ultimo esponente maschio di quell’antica famiglia) la situazione sembra restare invariata. A movimentare gli anni che seguono quel decesso saranno gli eredi che, per questioni collegate alla ricca eredità, passeranno parecchio tempo nelle aule dei tribunali, divorando antiche fortune costruite nei secoli. Da ricordare in questo villaggio anche un’altra importante e antica famiglia: i Damay. Le poche carte che ci parlano di questo secondo clan, ci raccontano di una famiglia che tra la fine del settecento e i primi decenni del secolo successivo sembra davvero occupare un posto molto importante nella comunità del tempo. Immobili, affari, tanta campagna e numerosi capi di bestiame sembrano fare il resto.
Gorris: anche il nome di questa frazione (da secoli anche importante cognome) è molto citato sugli antichi documenti: risulta essere Gorric nel 1393, Gorritzs o Des Gorris nel 1650 per divenire nei secoli successivi Les Gorris. Sembra di capire che (a differenza delle altre frazioni di Moron dedite nel tempo esclusivamente all’agricoltura), qui fossero ubicate interessanti attività artigianali. In questa località, nella casa di famiglia, aveva il suo “ufficio” il notaio Jean-Michel Séris; frequentemente durante la stesura di atti notarili è assistito dal fratello, il religioso Pierre-Antoine Séris (*10 giugno 1749 - †20 novembre 1806). (Altre informazioni sul notaio Séris nel capitolo I personaggi di Moron).
Hugoné: pur con le piccole e quasi impercettibili variazioni il toponimo di questo villaggio si mantiene quasi inalterato nel corso dei secoli; le versioni più frequenti sono Hugonné, Ugonné, Des Hugonnet, Hugonet, Ugonet, Hugonné (nel 1731), Des Hugonnés nel 1733 e infine Hugones nel 1744. In questo villaggio è possibile visitare un antichissimo e bellissimo torchio per le vinacce restaurato nella seconda metà del novecento per volontà dei comproprietari; nel villaggio per lungo tempo furono operativi ben due mulini che garantirono un egregio servizio alla collettività. Qui era nato Morise Lucien (*1908-†1969); questo personaggio al termine del secondo conflitto mondiale, resosi conto della terribile situazione in cui versavano i nostri agricoltori si attivò con tutte le sue forze presso la popolazione e verso gli amministratori comunali per il ripristino del vecchio e cadente canale della montagna; dapprima costituì un Comitato Promotore e in seguito, dopo la costituzione ufficiale del Consorzio di Miglioramento Fondiario Ru Courtaud ne divenne primo presidente, dimostrando che il secolare germe dell’iniziativa popolare era ancora vivo dopo seicento anni. In questo villaggio era nato nel 1754 Emanuel-Joseph Camos (approfondimenti su questo religioso nel capitolo I personaggi di Moron).
Thole: secondo gli studiosi l’etimologia di questa parola sarebbe sempre da ricercarsi nell’antichissima radice Tor, Thul, Tur che designa montagne e trarrebbe la sua origine sia nelle lingue celtiche sia in quelle preindoeuropee. Il toponimo di questo villaggio ha con il passare dei secoli delle leggerissime variazioni: Toles nella versione latina del 1366, Les Tolles nel 1599, Toules nel 1625, Tolles (quasi invariato dal 1656 al 1750), Thoulaz, Tholles nel 1770, e fino quasi alla fine di quel secolo per concludersi con Tole nel 1892. I documenti degli archivi sembrano occuparsi per la prima volta di questo villaggio nel 1366; è infatti di quell’epoca una pergamena su cui è registrato un contratto di vendita di alcuni beni. Nella frazione era funzionante un antico torchio (censito anche sulle pagine del Catasto Sardo) che risulterebbe essere stato alloggiato per secoli sotto ad una tettoia, in una piazzetta interna del villaggio per essere comodamente utilizzato dai vari utenti. Il forno nella versione odierna è databile tra il XVII° e il XVIII° secolo ed è estremamente importante per la sua posizione privilegiata all’interno delle abitazioni.
Treuyl: l’etimologia del nome di questo villaggio sembrerebbe derivare dal francese antico: Truyl indica infatti torchio e nel caso nostro si può ragionevolmente ritenere che anticamente a questo insieme di case fosse stato dato questo nome in funzione della presenza in loco di tale manufatto, certificato da molti secoli su antichi documenti. Se così fosse ci troveremmo di fronte alla più antica citazione di simile struttura comunitaria presente sul territorio del nostro comune. Il toponimo di questo piccolo centro, pur con il passare dei secoli, si mantiene pressoché inalterato: è Tryvil nel 1422 mentre nei secoli successivi è Trueil o Treil.
I personaggi di Moron
Sono davvero tante le persone che con il loro operato hanno contribuito alla crescita sociale, economica, culturale e morale di Moron; come altri autori anch’io concordo sul fatto che l’iniziativa per la costruzione del già citato Canale Courtaud nel 1393, si deve soprattutto a persone che abitavano nei sette villaggi di Moron: Antoine Morisse (di Insuardis, Gesard), Jean Perronet (di Charbonelles), Pierre Jacquemini e Jean Michod (di Thole), Jean detto Champion, Pierre detto Pollioux, Jean detto Copper, Jean Bonin detto Bichier, Antoine detto Carmintrat, Pierre Polla e Jeannet Comte. Indiscutibilmente costoro dovevano disporre di molta terra coltivata e necessitante di acqua se riflettiamo su cosa decisero di fare nel lontano XIV° secolo. La loro ciclopica e per certi versi folle iniziativa può essere sintetizzata in quattro parole: autentici imprenditori e oculati amministratori. Con il passare degli anni e dei secoli saranno intere generazioni di Sabins a camminare e a crescere socialmente, economicamente e culturalmente nel solco tracciato con tanta determinazione da queste persone a cui oggi dovrebbero andare la nostra ammirazione e la nostra gratitudine. In questo, ma anche in altri contesti, assumono grande importanza le figure dei notai, di seguito elencati, che si ritiene fossero tutti originari di Moron:
Championis Giacomo: dell’attività di questo notaio non si conosce quasi nulla; è ricordato in qualche atto di fine millequattrocento all’interno dei quali figura come testimone o rogatore; da piccoli accenni e particolari si deduce che aveva domicilio e beni in almeno uno dei villaggi di Moron.
Ambrosin(i) Enrico: è citato con l’appellativo di burgensis ed è coevo del precedente. Lascia pochissime carte concernenti il suo lavoro e risulta essere proprietario di beni fondiari in località detta Val (?).
Antoiniod(i) Jean-Jacques e Jean-François:, entrambi notai (forse padre e figlio) sono esponenti di una famiglia di Saint-Vincent ormai estinta da molto tempo e risultano essere dediti al notariato verso la fine del cinquecento e l’inizio del secolo successivo; tutti e due sembrerebbero aver lasciato una produzione documentale abbastanza povera. Il secondo possedeva sicuramente immobili e beni diversi nel comprensorio di Moron, ciò che farebbe supporre che entrambi fossero originari di quella località.
Michod(i) Jean (-Antoine?): notaio nativo e abitante a Moron, località dove possiede numerose proprietà; è figlio di una vecchissima e agiata famiglia originaria di Saint-Vincent. E’ sindaco del borgo nel biennio 1638-1639 e nuovamente nel 1642 e nel 1658. Probabilmente libero da altri impegni, risulta essere particolarmente attivo nel notariato verso la fine del Cinquecento; era sposato con tale Jeanne ed era padre di Antoine-Jean (*10.04.1632).
Rieu(x) Jean-Claude: è un personaggio assai misterioso anche se certamente figlio di famiglia originaria di questo paese (alcuni incompleti riferimenti farebbero presumere un suo domicilio a Moron); i documenti redatti da questo notaio comprendono il periodo 1687-1718; sposa in data imprecisata tale Marie-Anne ed è padre di Marie-Anne e di Lucrèce (†11 maggio 1701) nonché di una numerosa prole tra cui si annoverano Jean-Vincent (* 7 febbraio 1703), Marie-Marguerite (* 20 luglio 1712) e Jean (* 12 maggio 1718).
Séris Jean-Michel: figlio di Jean-Vincent è nativo di Moron e indiscutibilmente parliamo in questo caso di …un fils du pays; potremmo definire questo notaio Il professionista amato dalle famiglie e dalla locale Chiesa. La sua produzione è molto vasta e copre un periodo di oltre mezzo secolo, 1751-1801. A seconda delle stagioni molti suoi atti sono rogati nella stalla della sua abitazione o nella corte antistante la casa che è situata in località Les Gorris di Moron frequentemente in presenza del fratello, il religioso Séris Pierre-Antoine (*10 giugno 1749 - †20 novembre 1806). Il notaio Jean-Michel Séris negli anni 1723, 1725, 1756 e 1757 assume la funzione di sindaco e nel 1748, unitamente all’altro sindaco Jean-Louis Vout sarà attore primario nell’atto con cui la popolazione di questo paese estingue i diritti feudali. Lo stesso anno, nel mese di settembre, partecipa all’Assemblea dei Tre Stati di Aosta, con una delega del notaio Ravet. Non sembrerebbero esserci rapporti di parentela con l’omonimo notaio Jean-Antoine Séris. Jean-Michel Séris era sposato con Marie-Joseph figlia di Joseph Blanc chirurgien de Châtillon (la sposa decede a Saint-Vincent il 9 gennaio 1789).
Charbonnier Sulpice-Ambroise: di Jean-Pierre, è figlio di famiglia originaria di Moron; come notaio ha una grossa produzione di documenti che coprono il periodo 1796-1839; si sposa nel 1800 con Lachet Marie-Thérèse, figlia di (Jean?)-Jacques da cui avrà alcuni figli (tra cui Marie-Joseph che decede appena nata nel mese di ottobre del 1803 e Joseph-Balthasard che muore il 20 marzo 1809 alla giovane età di soli 7 anni); nel corso dell’anno 1815, dopo essere diventato vedovo, si risposa con Marie-Cathérine figlia di Jean-Antoine Isabellon; da questo secondo matrimonio avrà altri figli (tra cui Dauphin-Ansèlme che decede giovanissimo nel dicembre del 1823). Nel 1798 il notaio Charbonnier risulta ricoprire anche l’incarico di Greffier del mandamento. Da carte conservate nella locale Parrocchia si apprende che questo notaio per circa tre anni insegnò ai ragazzi della scuola di Moron con lusinghieri risultati e con l’apprezzamento delle autorità religiose e civili.

Molto importanti anche le figure dei religiosi provenienti verosimilmente tutti da Moron:
Rev.do Séris Jean-Martin: le sole informazioni sono relative al suo decesso che avviene a Saint-Vincent il 17 settembre 1740, all’età di 82 anni.
Rev.do Camos Jean-Vincent: figlio di Jean-Michel nasce a Saint-Vincent il 30 ottobre 1707 (†17 marzo 1742); riceve nel 1742 a Moutier (Savoia) gli ordini minori e diventa prete il 27 novembre 1738. La morte sopraggiunta in questo paese in giovanissima età confermerebbe gravi problemi di salute.
Rev.do Séris Sulpice: figlio di Pierre-Antoine nasce a Saint-Vincent il 12 aprile 1737; diventa prete nel 1760 ed è nominato vicario ad Arnad; qui decede il 22 agosto 1768.
Rev.do Camos Michel-Joseph: figlio di Jean-Michel (* 30 ottobre 1748, † 10 luglio 1813). Dopo la nomina è inviato dal vescovo qui a Saint-Vincent dove, oltre agli impegni religiosi, è apprezzato maestro per circa quarant’anni.
Rev.do Séris Pierre-Antoine: figlio di Jean-Vincent (nasce a Saint-Vincent il 10 giugno 1749); lo ritroviamo con funzioni di viceparroco e economo a Montjovet e Châtillon; in seguito, con funzioni simili, sarà presente a Donnas, Hône e Bard. Gli ultimi tre anni della sua vita li trascorrerà nel paese natio dove decederà il 20 novembre 1806.
Rev.do Camos Emanuel-Joseph: (*Saint-Vincent, 2 gennaio 1754 -†Fénis 12 novembre 1819), figlio di Jean-Antoine è indirizzato alla carriera ecclesiastica e diventa Canonico Regolare di Saint-Gilles di Verrès. Religioso di grande levatura sarà vicario ad Anthey-Saint-André, parroco di Saint-Marcel e parroco priore di Fénis; in seguito assumerà la carica di Segretario del Capitolo della Prevostura di Saint-Gilles di Verrès.
Rev.do Camos Jean-Vincent: figlio di Jean-Antoine (*Saint-Vincent, 15 maggio 1768). Diventato prete nel 1797 è inviato con funzioni di vicario a Brusson e Challant-Saint-Ansèlme; in seguito, nel 1804, è nominato parroco e arciprete di Saint-Rhémy, località in cui decede il 25 settembre 1830.
Rev.do Camos Pierre-Baptiste: figlio di Jean-Michel nasce il 28 dicembre 1803; diventa prete all’età di trent’anni e con funzioni di vicario è inviato nelle parrocchie di Valtournenche, Gignod, Roisan, Avise, Nus, Gressan e Emarèse. Dal 1842 al 1851 è secondo vicario e insegnante a Saint-Vincent. In seguito, purtroppo affetto da una gravissima forma di paralisi, è costretto a ritirarsi nel Priorato di Saint-Pierre dove decede l’11 ottobre 1880.
Rev.do Camos Sulpice-Ambroise: figlio di Jean-Antoine e di Marie-Dorothée Trèves nasce in questo paese il 21 settembre 1826; avviato agli studi ecclesiastici diventa sacerdote nel 1854. E’ vicario a Gressan, Valtournenche e Ayas (qui ricopre anche le funzioni di economo), infine è nominato parroco di Pontey dove è ricordato per aver fatto restaurare e ingrandire la locale chiesa parrocchiale e per aver fatto edificare una grande cappella; per problemi collegati alla sua salute risiederà per moltissimi anni presso la sua famiglia. Dimissionario nel 1898 si spegnerà però a Châtillon il 9 ottobre 1906.

Dopo questa lunga carrellata di personaggi come non ricordare anche i sindaci della collina, non necessariamente originari di Moron ma, certamente in quella località occupati in numerosi impegni pubblici:
Camos Vincent: de Martin sindaco nel 1609; Michod Jean, sindaco nel 1616, nel 1638, 1639 e 1642; costui rivestirà per un certo periodo anche la carica di castellano di Montjovet, Martinod François nel 1626; Trèves Vincent nel 1628; Ambrosin César nel 1649; Polla Jean-Antoine nel 1666 (e ancora nel 1672 e nel 1682); Martinod Georges nel 1699; Dufour Antoine nel 1702; Ravet Jean-Martin nel 1715; Vout Jean-Louis nel 1748; questo sindaco, durante il suo mandato, parteciperà con grande trasporto all’operazione che porterà all’estinzione dei diritti feudali nella Signoria di Saint-Vincent.

Pur non avendo specifiche informazioni, si hanno anche alcune segnalazioni concernenti l’attività di alcuni Expert, cioè geometri o misuratori: le carte riportano i nominativi di:
Pierre-Joseph Rieu(x), expert sul territorio nella metà del XIX secolo mentre circa un ventennio dopo si nota l’intensa attività di Michel Charbonnier; altri expert attivi a Moron nei secoli passati furono Sulpice Billet e Helisé Charbonnier.

Molto importanti anche le figure degli imprenditori; su tutte sembrerebbero spiccare:
Maistre charpentier Antoine Gallernaz figlio di Gabriel (anch’egli qualificato sulle carte con l’appellativo di maistre). Antoine Gallernaz è allevatore e ha forti interessi nell’agricoltura, grazie anche alla sua famiglia che sul territorio possiede ampie superfici di terra coltivate a campo). Un carteggio conservato da privati ci illustra i dettagli di un’importante convenzione stipulata il 24 aprile 1729 tra i sindaci e communiers di Pontey, Ussel, Bellecombe e Châtillon da un lato e tre maitres charpentiers di Saint-Vincent dall’altra: questi ultimi sono il già citato Antoine Gallernaz e i fratelli Laurent e Jean Trèves dits Pallù. Questo contratto prevede la ricostruzione di un ponte sulla Dora che il Conseil des Commis di Aosta, nella sua seduta del 14 aprile 1727, aveva giudicato in gravissimo stato, bisognoso di interventi ed estremamente pericoloso per coloro che vi fossero transitati.

Con tutt’altro incarico, nel 1840, si hanno informazioni concernenti:
Jean-Antoine Camos che ricopre le funzioni di Officier Lieutenant.

Importanti anche le figure dei procuratori (cioè di coloro che si occupavano del temporale all’interno dello spirituale) e dei tesorieri della chiesa di San Maurizio, dei quali si hanno però solo notizie sparse e non continuative; la loro attività era svolta in modo totalmente gratuito. E’ noto che prima d’intraprendere questo servizio queste persone di provata fede, prestavano giuramento all’interno della chiesa davanti al clero e alla comunità dei credenti posando le mani sul Vangelo. Periodicamente (solitamente una volta all’anno) rendevano pubblici i relativi conti; la loro attività poteva anche durare molti anni e in taluni casi era trasmessa ad uno dei figli. Tra i procuratori e i tesorieri di Moron vanno senz’altro ricordati:
Polaz Jean-Antoine che è citato come procuratore nel primo ventennio del settecento;
Gorris Jean-Joseph che riveste lo stesso incarico nel biennio 1778-1779;
Gallernaz Jean-Vincent per alcuni anni;
Charbonnier Jean-Antoine nel 1786;
Charbonnier Claude che risulta citato nel 1798 con funzioni di co-procuratore con
Michod Jean-Pierre;
Séris Jean-Antoine (dal 1805 e per un tempo indefinito);
Gorris Sulpice si occuperà dal 1848 di quell’importante aspetto strettamente collegato alla vita spirituale della popolazione.

Infine, oltre a questi personaggi, vanno ricordati anche i tanti mugnai che con il loro lavoro hanno garantito per secoli un preciso e puntuale servizio agli utenti. Come non ricordare anche i tanti specializzati scieur de long che soprattutto dalla seconda metà dell’ottocento esporteranno all’estero le loro specializzazioni collegate al taglio e alla lavorazione di legnami?

Ecco, parlando di Moron e delle sue frazioni, non è possibile non pensare a quelle centinaia (forse migliaia) di persone che con le loro specializzazioni hanno davvero favorito la crescita economica, sociale, culturale di quella comunità che tanto ha fatto e che tanto ci racconta attraverso l’antropizzazione del territorio o ancora attraverso l’architettura (ora dolce ora severa) delle abitazioni o, infine, attraverso gli scuriti travi dei tanti Raccart. Ma tutto questo non sarebbe stato possibile se, come verosimilmente possiamo immaginare, accanto a questi uomini non ci fossero state grandi donne. Grandi donne che con il loro silenzioso lavoro e l’instancabile attività (e forse anche sottomissione)hanno garantito il buon andamento della famiglia, la continuità della specie e la loro infaticabile e attiva presenza laboriosa sul territorio accanto agli uomini. Ritengo che questo testo, che si chiude con decine di nominativi di uomini, non possa concludersi senza aver espresso un sentito e riconoscente “grazie” a quelle tante donne, di cui la storia (anche quella piccola) tace e di cui non si ha memoria alcuna.

CRETIER Piergiorgio