Nouarsaz

Gli alpeggi sospesi tra cielo e terra

Gli alpeggi di Nuarsaz, che non possono certo essere identificati come un villaggio, sono situati alla quota di 1713 m. slm. sulla montagna che sovrasta Saint-Vincent e su un territorio che molte persone ritengono appartenere a Châtillon: niente di più falso! Quelle superfici, da tempo immemorabile ricchi pascoli anche se oggi certamente ridotte dall’avanzante bosco rispetto ai secoli passati, sembrerebbero essere state antropizzate dall’uomo fin da antichissima data anche se risulta difficile immaginare che lassù delle persone abitassero tutto l’anno. Le abbondantissime nevicate invernali e un territorio caratterizzato da varie difficoltà meteorologiche e ambientali devono aver convinto i primi abitatori che, lassù a Nuarsaz, si poteva vivere solo nella bella stagione con greggi al pascolo e vivendo di quei pochi frutti che la terra poteva garantire all’uomo. Guardando oggi dalla nostra collina quelle poche abitazioni poste su quel comprensorio di alta montagna, si ha l’impressione di guardare un nido d’aquile; e, oseremmo dire, che di qualcosa di straordinariamente bello, ma a prima vista inavvicinabile, stiamo parlando. Gli strapiombanti dirupi sottostanti sembrano impedire “l’assalto turistico di quel territorio” che invece era (ed è tutt’oggi) collegato alla fittissima rete pedonale dei comuni di Saint-Vincent e di Châtillon. Da quest’ultimo comune una comoda strada asfaltata sale dall’abitato di Domianaz per raggiungere il villaggio di Nissod; poco prima di questa frazione, percorrendo una strada privata, si oltrepassa il caratteristico agglomerato di case noto con il nome di Travod per giungere infine agli oltre 1700 metri di Nuarsaz. Sulle falde della montagna vi sono altri casolari isolati dai nomi gentili Fontanallaz, Chedomianaz e Chesalet raccontano le difficoltà dell’uomo e della sua difficile convivenza con la montagna. Il toponimo di queste poche case sembra essersi mantenuto nel tempo pur con le inevitabili mutazioni o trascrizioni d’uso: Nouarsaz, Noirça, Noarsa, Nuarsa (quest’ultima variante è rapportabile alla fine XV° sec). Queste poche case, riparate dal vento grazie all’imponente mole del Monte Zerbion sono state edificate su piccoli pianori che l’uomo ha saputo adattare alle sue necessità, e sono un vero inno alla natura e al Creato; coloro che compiono la salita verso la vetta, lo fanno con gli occhi di chi la montagna, pur con le tante difficoltà, la ama, la teme e la sale (e non l’assale!) per godere panorami da cartolina e ritemprarsi lo spirito guardando la statua della Vergine che sulla sommità dello Zerbion fu posta nel 1932 a seguito di un voto fatto alla Madonna dalla spose e dalle mamme di Saint-Vincent. Tutto il comprensorio ha visioni fantastiche e lo sguardo si perde ammirato per lo spettacolo offerto dalla natura che si propone nelle decine di fantastiche cime che da lassù possono essere ammirate; nei boschi e nelle foreste ricche di conifere, nei fiori dai mille colori e, non da ultimo, dalla miriade di animali selvatici che quasi incontrastati dominano quel territorio: eleganti aquile, che dopo decenni, nel corso del 2006 si sono riappropriate del territorio nidificando sulle scoscese falde del Monte Zerbion; pernici, variopinti galli cedroni, falchi e uccellini dai vivaci colori sembrano controllare tutto quello che succede a terra dove camosci, stambecchi, cinghiali, marmotte, volpi, rettili e tantissimi altri animali sanno di poter vivere in pace con l’uomo grazie all’Oasi di Protezione della fauna creata sulle falde del monte Zerbion. L’uomo che per primo andò ad abitare a Nuarsaz, dopo aver valutato attentamente tutti i pro e i contro, ma resosi conto della bellezza di quel territorio e delle possibilità di vivere in pace con la natura, decise che tale angolo di paradiso poteva garantire un giusto reddito e lì si stanziò. La storia di questi casolari è la storia dell’uomo e della sua convivenza con la montagna che è ora tenera madre, ora terribile e cattiva matrigna; purtroppo non vi sono fonti documentali a cui poter attingere informazioni storiche anche se le più antiche sembrano essere quelle contenute in un’antica pergamena conservata presso l’Archivio Storico del comune di Saint-Vincent. Nel documento, redatto nel 1422, sono contenuti gli albergamenti con cui la popolazione collinare del nostro paese riconosce ai nobili De Challant, signori del feudo di Saint-Vincent, di possedere terre, di lavorarle da generazioni e per questa ragione di dover pagare dei tributi. Il toponimo Nuarsa compare nella pergamena come territorio compreso nell’atto e con tutte le sue peculiarità: fontibus, aquis, arboribus, silvis, pascuis, pasturagiis et gerbis, (…). Nuarsa è indicato come località posta al confine del feudo ma, cosa molto interessante, sul documento è nominato il cognome della famiglia che possiede in uso tale terra: Seritzs (Séris). Poi, su quel comprensorio, sembra calare un secolare buio documentale. Le sole altre note storiche ritrovate sembrano essere contenute all’interno di alcuni documenti risalenti al XIX secolo. Le carte, compravendite e divisioni di beni, ci danno moltissime informazioni relative a Nuarsaz, ai suoi proprietari, agli immobili e alle colture praticate. La prima carta che ci parla di quella montana località (oggi conservata in un fondo privato) porta la data del 21 aprile 1713. Il documento, che è incompleto e gravemente danneggiato dall’umidità e dalle rosicchiature dei topi, ci racconta di una permuta e di successivi atti di divisione concernenti gli alpeggi di Nuarsaz. Purtroppo per le cause già dette, sul documento non sono rilevabili i nomi di coloro che procedono a tale operazione così come purtroppo manca il nominativo del notaio rogatore. Per contro sappiamo che nella seconda metà di XIX secolo gli alpeggi di Nuarsaz, o comunque una consistente parte di quel comprensorio, apparteneva ancora alla famiglia Séris di Grun (che evidentemente ne aveva mantenuta la proprietà per oltre quattro secoli!) mentre la restante parte era condivisa con altre famiglie. Non risulta conosciuto il nome dell’originale proprietario dei casolari di Nuarsaz; per contro è noto che il Séris aveva tre figli i quali, in data a noi sconosciuta, procedono alla divisione dei beni del genitore. Successivamente come si rileva da un documento di compravendita, una parte di tali proprietà (costituite da ben 24 lopin de terre), in data 9 settembre 1917, è ceduta dai Séris ad altra famiglia di Saint-Vincent nelle persone di Jean-Simon Mellé (figlio di Pierre-Antoine) e il figlio Joseph. I nomi dei beni fondiari elencati sull’atto ci danno tantissime informazioni; prima fra tutte quella relativa alla ripetitività del nome Champ che inequivocabilmente ci parla delle colture cerealicole praticate in loco mentre la parola Murgerot (forma compressa di Murgère, ammasso di pietre) ci ricorda che vi è stata la necessità, da parte dell’uomo, di spietrare la terra per tentare di ottimizzare al massimo la resa di quei terreni. Mi sembra nuovamente utile ricordare che Nuarsaz è a 1700 metri d’altezza e che tante colture sono oggi inimmaginabili a tale altezza; è quindi verosimile che i cereali coltivati su quel territorio fossero autoctoni e quindi più adatti a tale quote; naturalmente i documenti ci parlano anche di Prés, paturages, herbages quindi di terreni che per loro natura erano adatti al pascolo del bestiame. Per ciò che concerne gli immobili si hanno diretti riferimenti all’esistenza di un generico domicile rural avec place, caves, étables, cuisine et foignère (la presenza di questo manufatto indicherebbe che una parte della campagna era soggetta allo sfalcio del foraggio successivamente immagazzinato in questo locale); senza alcun dubbio, e tratte le debite conclusioni, è possibile riaffermare che in quei casolari si abitava solo per un certo periodo dell’anno ma ciò non implica che si dormisse sul fieno e che non vi fosse un’abitazione per la famiglia. La presenza dei già citati locali facenti parte di una grange, garantiva certamente al conduttore e alla sua famiglia un’esistenza meno difficile malgrado le già citate difficoltà. L’acqua necessaria agli abitanti di queste case, tutte addossate le une alle altre per difendersi dai freddi venti del nord, e alle campagne sembra essere da sempre garantita da una sorgente di media portata che sgorga a monte e che con opportune canalizzazioni l’uomo ha indirizzato al vicino abbeveratoio-lavatoio. L’acqua, da sempre vita, assume anche in quel montano contesto grande importanza sottolineata nel documento di compravendita all’interno del quale è detto che il venditore garantisce anche la cessione dei diritti …sur l’eau d’arrosement accoutumée pour claque pièce prenable à tour de rôle (ciò che farebbe ipotizzare che le varie famiglie avessero organizzato, forse con una convenzione, la distribuzione a giornate dell’acqua). Non si riesce però a stabilire con chiarezza quanti fossero i capi di bestiame ammessi a godere di quella fresca erba e di quei prelibati fiori; è infatti noto che la saggezza dei nostri avi aveva quantificato il numero dei capi ammessi al pascolo sulla base di alcuni parametri: ampiezza del comprensorio, disponibilità e quantità d’acqua e grandezza dei locali di ricovero. Questi parametri permettevano ai pastori di poter vivere in estate con la propria mandria sull’alpeggio senza impoverire o essere impoveriti da altri utenti. Sul già citato documento, oltre ai toponimi e ai nomi dei locali degli immobili, si rilevano anche altre interessanti curiosità che sono relative ai cognomi degli acquirenti (i già citati Jean-Simon e Joseph Mellé) e dei proprietari confinanti; risultano annotati i nominativi di Charbonnier Alexandre, Joyeusaz Ansèlme (comproprietario insieme ai suoi fratelli), Bressan Jérémie e Sulpice (fratelli), e infine Pellissier Salomon. Ciò che è evidente è il fatto che proprietari con maggiori possedimenti risultano essere i fratelli Joyeusaz di Châtillon anche se le superfici e i confini concernenti Alexandre Charbonnier di Saint-Vincent sono di tutto rispetto. Non è facile appurare a quante famiglie appartenessero i casolari di Nuarsaz e come già detto il numero totale dei capi di bestiame monticati durante la stagione estiva. Nei decenni passati le vecchie abitazioni sono state acquisite da una famiglia che possedeva già una buona parte delle case e dei pascoli; successivamente questa famiglia, con grande rispetto dell’ambiente e con il desiderio di contribuire al non abbandono della montagna, ha provveduto con ingenti spese a recuperare una grande parte dei volumi degli alpeggi che sono stati nuovamente destinati al ricovero dei capi di bestiame e alla creazione di locali di servizio da utilizzarsi dai conduttori durante il soggiorno estivo al seguito delle mandrie. Oggi, come già detto, questi alpeggi sono raggiungibili con l’auto salendo dalla collina di Châtillon, ma a chi ama la natura (quella bella, anche se a tratti dura!) consiglieremo un bellissimo sentiero che si diparte a monte dell’abitato di Piè Martin, su Saint-Vincent, e che si sviluppa all’interno di un bellissimo bosco ceduo, per poi attraversare (e con l’invito a non sostare a causa della non remota possibilità di caduta massi), il torrente Grand-Valey e da quel punto, su ardita mulattiera, raggiungere la tanto ambita e desiderata meta in circa un’ora e trenta minuti. In alternativa si può raggiungere Nuarsaz partendo dalla Cappella dei Partigiani, posta poco a monte di Amay a lato della Strada Regionale del Colle di Joux; qui dopo aver attraversato su sentiero quasi pianeggiante tutta la costa ed aver oltrepassato il Grand-Valey, si giunge su altro sentiero il citato alpeggio da cui è anche possibile proseguire verso altri alpeggi (tra cui Cian) e verso la sommità del Monte Zerbion a quota 2722 metri slm.

CRETIER Piergiorgio