Rascards

Costruzioni in legno nel Comune di Saint-Vincent, i RécarSono presenti sul territorio comunale un numero di settantacinque costruzioni in legno suddivisi in tre modelli tipologici principali, i primi due gruppi rappresentano i récar e il terzo i grenié.

“Lo Grenié”

Il granaio è un piccolo edificio in legno che si può trovare costruito in diversi modelli. Si può trovare isolato, adiacente ad un’abitazione, inglobato ad una costruzione in pietra, addossato ad un récar oppure posto come tamponamento tra due edifici con il passaggio sottostante. Il granaio isolato è il più interessante perché è completo dal punto di vista funzionale e strutturale. Nel comune di Saint-Vincent ce ne sono pochissimi; soltanto tre sono ancora visibili: due nella frazione di Salirod ed uno in quella di Moron Gézard. Le pareti sono costituite da tronchi di larice segati, accuratamente lavorati a tavoloni e sovrapposti di taglio; vengono legati alle cantonali con incastro a mezzo legno e in casi eccezionali immaschiati. Il risultato è una parete di circa dieci, dodici centimetri che offre un buon isolamento termico e permette inoltre la traspirazione rendendo asciutto l’ambiente. Questo fatto è essenziale per la conservazione del vestiario e soprattutto di derrate alimentari quali granaglie, farine, pane, insaccati e frutta. Le granaglie erano tenute all’interno delle “artse”, bauli in legno a più scompartimenti, solitamente solidali alla struttura. Una parte delle granaglie serviva da semente ed era utilizzata nei mesi di settembre-ottobre, mentre il resto era macinato a dicembre quando era l’ora di preparare il pane. Anche le farine erano tenute nelle “artse” per la preparazione di altri alimenti. Il pane veniva riposto sugli appositi “ratélì”, ripiani in legno, sospesi al soffitto. Il modello del granaio isolato si ripete con uniformità: è composto da due livelli in legno poggianti, a volte su funghi, su una costruzione in muratura adibita a cantina o a deposito per gli attrezzi. La circolazione è sempre esterna e avviene sfruttando la pendenza del terreno fra la cantina e il primo livello e con una scala in legno tra i due livelli superiori. Le porte sono di piccole dimensioni e per il loro architrave è ricorrente la forma ad arco ribassato; non esistono le finestre, ma solamente piccole aperture, a volte protette da un’inferriata, utilizzate per l’areazione dotate di un sistema di chiusura. I granai adiacenti ad una abitazione o inglobati tra costruzioni in pietra si differenziano da quelli isolati unicamente per la disposizione degli elementi strutturali, ma mantengono la stessa funzione. Questi granai sono costituiti da assi in legno disposti verticalmente, immaschiate accuratamente l’una all’altra senza lasciare fessure. Si segnalano anche pochi casi di granai posti all’ultimo piano di una costruzione in pietra che ha due o più livelli sottostanti. Le “tsambrette” sono piccoli locali con una struttura a telaio situati a sbalzo sui lati dei “récar” e avevano la stessa funzione dei granai.

“Lo Récar”

Si tratta di un edificio destinato, un tempo, all’essiccazione dei cereali ed alla loro trebbiatura. È una struttura in legno la cui costruzione, piuttosto lunga e complessa, necessita della manodopera di più persone, perciò questo edificio appartiene sovente a diversi proprietari. Il lavoro di costruzione inizia con la scelta delle lunghe e diritte piante di larice da tagliare nei boschi, spesso distanti dal villaggio, da far stagionare in un luogo adatto e da lavorare secondo le dimensioni della struttura. La stagionatura è molto importante in quanto il legno fresco “lavora” e, svergolandosi, potrebbe portare danni seri all’edificio. I tronchi, una volta stagionati e squadrati (tsévrón), vengono sovrapposti e incastrati agli angoli con la tecnica a mezzo legno, blockbau, formando così una struttura portante molto solida. Questa è solitamente rialzata, rispetto al piano del terreno, da pilastrini in legno posti verticalmente e poggianti su di una base in muratura. Tra il pilastrino (lo pi) e il primo tronco del récar, sotto la base dell’incastro, è interposta orizzontalmente una pietra piatta tagliata circolarmente con un diametro di circa 70 cm (lo tsapé), non è secondario il ruolo statico della pietra che amplia la superficie di appoggio. L’insieme di questi due elementi crea una forma che ricorda quella di un “fungo” (lo boléro). Esso, mantenendo la parte in legno sollevata da quella in pietra, favorisce la circolazione dell’aria ed impedisce ai roditori di raggiungere la struttura lignea. Granai e/o essicatoi per covoni con pilastrini sormontati da dischi in pietra si ritrovano ancora nel Canton Ticino (torbe), nel Portogallo del nord, nelle regioni spagnole di Galizia e Asturie. Alcuni récar sono rialzati solamente su pilastrini di legno, senza la presenza della lastra in pietra, questa è sostituita da una pianta tagliata a metà, che corre per tutta la larghezza dello stesso. I récar del nord della Savoia sono sollevati su pilastrini in legno, ma sono privi di pietra. L’opinione comune vuole che i “funghi” servano da barriera ai roditori; GYR, citando il caso della Val d’Anniviers (Vallese), afferma che la funzione è provata dal fatto che quando manca la pietra il palo è foderato con della lamiera che impedisce l’appiglio ai topi. Il récar può, a volte, appoggiare direttamente sulla parte in muratura, questo è un caso particolare, oppure è una modifica posteriore.
La base in muratura può avere uno o più livelli:
· un livello seminterrato: un solo locale con funzione di deposito per gli attrezzi (la remiza) o di stalla per pecore e capre (l’étolén);
· un livello seminterrato: due locali con funzione rispettivamente di cantina (la crôta) e di stalla viste le dimensioni più ampie per i bovini (l’étô);
· due livelli: un livello seminterrato come descritto sopra e un livello soprastante con un locale adibito ad abitazione (lo péyo) e, a volte, un locale con la funzione di camera da letto (la tsambra);
· tre livelli: un primo livello seminterrato adibito a cantina e a stalla, di solito voltate, un secondo livello formato da due ambienti di diverse dimensioni “lo péyo” e “la mijón”, ed un terzo livello adibito ad abitazione ed a camera da letto “tsambra”.
Lo spazio libero tra il corpo in muratura, coperto da un soffitto ligneo, e il récar sopraelevato dai bolero veniva usato per ripostigliare le pertiche (le pertse), usate per abbacchiare noci e castagne; le scale a pioli (échile); i ceppi sezionati regolarmente di pino silvestre (étéle), usate per riscaldare il forno in occasione della panificazione. L’interno del récar è diviso in diversi spazi differentemente utilizzati. Vi è un’aia comune costituita da un corridoio centrale (l’éra), adibita alla battitura dei cereali, cioè un’area di trebbiatura. A questa zona si accede esternamente da una porta a doppio battente. L’éra è di utilizzo comune e consente il passaggio e l’ingresso sui suoi lati a due o quattro grandi cameroni (le tsamberà), che hanno pianta rispettivamente rettangolare o quadrata e sono divisi tra di loro da un’orditura di travi di dimensione ridotte (éfeché). Questi tsamberà sono adibiti al deposito della segala e del frumento e appartenevano solitamente a più proprietari che avevano diritto all’uso dell’éra. Questa parte di legno, appena descritta, è costruita con la tecnica del blockbau e forma una struttura autoportante molto rigida ed equilibrata. Esternamente a questo blocco centrale sono assemblati degli ambienti aggettanti, due per ogni lato lungo del récar, simili a piccole camerette (tsambrette), con la funzione di “grenié” o “séchoir”. Sono costruite a sbalzo fuori dal filo della muratura sottostante, di pianta rettangolare, le pareti sono costruite ad assi verticali con diversi giunti e con gli angoli dei montanti verticali sagomati con delle scanalature a rotaia per accogliere gli assi stessi. Si trovano sulle pareti di queste camerette delle piccole aperture di differente forma, sia decorative che funzionali. L’accesso al récar e alle tsambrette è garantito in duplice modo, o sfruttando il dislivello del terreno o attraverso la costruzione di una rampa di scale. Il raccordo tra la scala in pietra e l’ingresso all’éra è garantito da un passaggio ligneo aereo mobile (lo póntón), dei tavoloni sporgenti (lé lanchè) garantivano invece un ingresso agevole alle tsambrette. Nella tarda estate, fine agosto inizio settembre, quando i lavori agricoli più pesanti erano conclusi, avveniva la battitura e la trebbiatura. Questa operazione era svolta all’interno del récar nella zona dell’éra, il cui pavimento, appositamente costruito con tavoloni immaschiati l’uno con l’altro e con un incastro preciso nella struttura portante, doveva essere ben rifinito perché non andasse perso nemmeno un chicco di grano durante la battitura. I fasci di spighe (lé mané) erano dapprima battuti contro le pareti, nelle quali venivano infilati degli stracci fra i tronchi, con questa operazione (dégrôsì) si otteneva la prima qualità di granaglie, usata come semente nel mese di ottobre. Successivamente le spighe erano stese a terra e percosse con un bastone piuttosto spesso (lo verloc). Questo lavoro era legato ad un rituale preciso e musicale, infatti, i battitori a gruppi di quattro o sei, usando bastoni snodati (lé fléc), colpivano il grano a tempo ritmato cadenzato e consequenziale. La tecnica era la seguente:
1. Un battitore assesta un colpo secco e si ferma. A turno lo stesso gesto viene ripetuto dai compagni.
2. Due battitori assestano all’unisono un colpo; i compagni ripetono.
3. Tutti i battitori a turno assestano un colpo veloce e ravvicinato
Per garantire questo ritmo corretto ed efficace c’è un maestro (lo polén), che dava il tempo con un suono vocale che corrispondeva pressappoco a:
· 1-Hoop, 2-Hoop, 3-Hoop, 4-Hoop.
· 1-2-Hop-Hop, 3-4-Hop-Hop.
· 1-Hop, 2-Hop, 3-Hop, 4-Hop.
Le penalità di sincronia e di tempo erano oggetto di critica e di scherno da parte degli altri battitori che lavorano nello stesso villaggio o nei villaggi vicini: “N’ai pa l’orèye l’atro dzor a batre? Aeh!”.
Nel frattempo due donne, poste alle due estremità dell’éra, raccoglievano la paglia facendone un fascio ordinato e, quando si incontravano al centro dello spazio, srotolavano il fascio in senso inverso di modo che i battitori potessero sgranare le spighe che erano rimaste nascoste. Al termine dell’operazione la paglia veniva nuovamente raccolta scossa velocemente e gettata fuori dal récar dove formava un grande mucchio informe che donne e bambini dovevano riordinare e ricomporre in fasci, questi finivano in un pagliaio o ritornavano nello stesso récar. Il grano trebbiato era poi spulato con il vaglio (lo van) e prima di essere riposto nel granaio i suoi chicchi erano messi ad essiccare ancora per due o tre giorni su un balcone (lé lanchè), sopra dei teli di canapa. Nel récar rimaneva la paglia che, tagliata minutamente, veniva usata a poco a poco per la lettiera dei bovini. Ad agosto-settembre veniva ancora riposto il secondo taglio di fieno (lo récor)

Mien BARREL